La vita ai tempi dello smartphone

NB: Questo post lo dedico a tutte quelle persone che quando lo leggeranno potrebbero in alcuni punti identificarcisi: non siete esattamente voi, anche se ho preso qualche aneddoto dalla vita quotidiana. 😀

 

 

C’è un nuovo lavoro emerso negli ultimi anni:

ci prende parecchi minuti (se non ore della nostra giornata)

è assolutamente non retribuito, quasi sempre siamo noi a pagare per usufruirne

ci fa assumere comportamenti compulsivi e anche un poco assurdi.

Parliamo della malsana abitudine di stare incollati ad uno smartphone.

Come la palla al piede dei carcerati, lo smartphone ci accompagna in ogni momento e in ogni luogo: dal bagno al letto, dal matrimonio al funerale, dal tragitto a piedi a quello in treno e ne siamo talmente legati da ritenere sacrosanto l’utilizzo urbi et orbi.

Sembra quasi che sia diventata impellente nell’essere umano l’esigenza di avere sempre qualcosa in mano, piuttosto che riempire quei tre secondi di tempo libero che altrimenti potremmo utilizzare per riflettere o semplicemente staccare la spina.

Difficilmente riusciamo a staccarci da questo singolare gadget che quando serve realmente (leggasi per fare telefonate) o è scarico o si è impallato, e altrettanto difficilmente ci rendiamo conto che lo stare sempre con la testa chinata su di esso e la colonna raggobbita ci portano a tre conseguenze poco piacevoli. La prima è rappresentata dagli inevitabili danni alla cervicale dovuti a una posizione innaturale,  la seconda è la costante esposizione alle onde radio emesse dal telefono a causa dell’eccessiva vicinanza al corpo; la terza è che a furia di guardare in basso o di stare sempre con quel gadget in mano, non riusciamo mai a vivere realmente l’attimo. Dovendo scrivere/giocare/scattare/postare, procediamo come ciechi zombies lungo la strada immersi in una costante nuvola di perenne distrazione, che ci distoglie dal cogliere piccoli o grandi particolari, incontrare persone (o evitare di scontrarcisi), guardare fisicamente e metaforicamente al di là del proprio naso.

Ci sono persone (visto con i miei occhi) che durante i concerti, le partite o altri eventi scattano migliaia di foto, riprendono ore di spettacolo e poi non si ricordano degli odori, dei colori e di quanto gli è accaduto intorno in quel contesto. Completamente annebbiati dal dovere di “documentare” si dimenticano il motivo per il quale sono andati a vedere lo spettacolo.

Lo smartphone inoltre è un incredibile strumento di controllo sociale: chiunque può sapere in tempo reale dove ti trovi grazie alla localizzazione dei social network che scrivono da che zona inserisci i tuoi post o grazie a solerti presenze che fanno i check pure al gabinetto e poi scrivono che erano con te.

Così, se tu non vuoi far sapere a tuo marito, al tuo datore di lavoro o banalmente al ladro dove ti trovi in un dato momento, puoi star sicuro di fallire nell’impresa: come un Grande Fratello, la tua vita sociale potrà essere monitorata fin nel più piccolo particolare.

Cosa comporta questo compulsivo atteggiamento alla pubblicazione a ogni costo?

Di sicuro un ripetuto perpetrarsi della violazione della privacy delle persone coinvolte, e altrettanto sicuramente si creeranno “crisi diplomatiche” di varia natura e gaffes incredibili.

C’è gente che è stata licenziata o non assunta per condotta non allineata alle esigenze aziendali, persone che sono state cornificate quasi in dirette, gente che ha saputo della morte di cari amici con un laconico messaggio pubblicato sulla bacheca di qualcun altro. Ci sono anche episodi più leggeri…

Per fare un piccolo esempio: se abbiamo detto ai nostri parenti che avremmo saltato la cena di famiglia per un turno di notte e poi vieni fotografato in un locale circondato da amici e con un bel bicchiere in mano, potresti perdere quell’aureo alone di figlio affidabile nonchè indefesso lavoratore astemio che ti sei costruito con tanta fatica negli anni.

Oppure, se stai organizzando una semplice cena e non puoi invitare tutti gli amici per evidenti limiti di spazio, ci sarà sempre qualcuno che, non appena varcata la soglia di casa tua, scatterà foto o scriverà che era con te insieme ad altre persone a casa tua. Con buona pace della diplomazia che tanto si appoggia, almeno per alcune tipologie di persone che hanno bisogno di mille spiegazioni e rassicurazioni per i mancati inviti, al vecchio detto cinese “occhio non vede cuole non duole”

Lo smartphone poi ti trasmette un altro virus che non è informatico ma caratteriale. A furia di non vivere l’attimo e smaniare per pubblicare tutto quello che i pollici del telefono inquadrano, si crea un’ansia da anticipazione. Si anticipano cioè gli eventi prima che accadano, annullando sorprese, rovinando scherzi, bruciando il fattore sorpresa.

Mi è capitato di recente di aver fatto un innocente scherzo ad un amico approfittando della sua momentanea assenza per una sigaretta e scrivendo una cosa sulla sua tovaglietta. Ebbene… Nel tempo che l’amico era fuori, un altro ha fotografato la tovaglia, ha pubblicato la foto e lo ha taggato. Quando l’amico è rientrato, senza neanche guardare il suo posto è venuto a chiedermi “ma chi è stato?”

Naturalmente è una piccola cosa sulla quale ridere, ma non sempre è così.

Dare spiegazioni, giustificare, sprecare fiumi di parole solo a causa di estrema leggerezza nel valutare le conseguenze a breve e lungo termine, è fonte di notevole disagio.

L’utente di smartphone però non sembra capirlo, e continua zigzagando per la sua strada a pubblicare questo e quell’altro, a chattare con tizio e con caio o sfidare gli amici a ruzzle, dimenticandosi spesso di fare due chiacchiere con la persona che gli sta accanto.

E’ a questo utente che rivolgo un appello: lascia ogni tanto il telefono spento, goditi semplicemente la cena o la giornata o lo scherzo come si faceva “una volta” (cioè fino a 4 anni fa), rispetta l’etica e la privacy delle persone tenendo per te le loro foto e la loro localizzazione, evita di taggare gente senza chiedere il loro permesso. E, ultimo ma il più importante, raddrizza la testa e guarda dritto avanti a te, fosse anche solo per cercare il wc in un ristorante.

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La vita ai tempi dello smartphoneultima modifica: 2013-03-14T14:49:00+01:00da bibendum3
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Un pensiero su “La vita ai tempi dello smartphone

  1. … io, l’unica che sullo smartphone non ha attivato un bel niente e lo usa solo per telefonare. Sarà per quello che mi fa sempre suonare gli allarmi nei negozi: identificazione dell’anarchica da smartphone 😉

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