Il marketing all’assalto del malfermo…

di idee.

Non me ne vogliano i miei amici laureati in Scienze della Comunicazione e marketers di professione, ma la pubblicità gioca brutti scherzi a chi la subisce.

In questo blog ho scritto di tutto, ma niente ha suscitato più ire del post nel quale parlo male anzi malissimo di uno “yogurt” liofilizzato proveniente dalla Nuova Zelanda.

Il post in questione è questo: clicca qui

Qualcuno mi ha scritto parlando in termini miracolistici del prodotto, un altro mi ha scritto che se pensiamo di farci lo yogurt in casa torneremo indietro di cento anni, un’altra ancora voleva che io comparassi le cose in una certa maniera piuttosto che come ho fatto io e mi suggeriva, se fossi stata onesta, di consigliare il prodotto nella versione naturale piuttosto che non consigliarlo affatto. La stessa persona è arrivata ad accusarmi di promuovere (?) marchi bio con i quali lei non si è trovata bene… a mio avviso aveva ingerito una dose eccessiva di quello yogurt che le ha annebbiato temporaneamente le idee.

Le cose sono due:

– o taluni di loro sono alle dipendenze di chi promuove il dessert in questione

– o è colpa della pubblicità.

 

Leggevo giusto ieri un interessante articolo sul calcio nel quale l’arguto autore commentava che finchè sono i calciatori a mentire su determinati eventi, è comprensibile. In fondo, ricevono un lauto compenso, non possono danneggiare l’immagine della società, etc etc.

Ma quando lo fanno i tifosi, a titolo gratuito e infervorandosi/spergiurando su argomenti che non dovrebbero nemmeno sfiorarli una volta finita la partita, beh… questo fa davvero pensare.

 Ecco… a me fa pensare il “clamore” che un post come tanti altri possa aver suscitato nei “sostenitori” di un prodotto caro come pochi e che i venditori propongono come la panacea di tutti i mali.

Non c’è verso di far capire a queste persone che il mio blog parla di decrescita, biologico, autoproduzione e stili di vita salutari: probabilmente, se riuscissero a recepirlo non comprerebbero mai certe cose.

Ma d’altra parte, i malfermi di idee (occhio che questo è un termine che finito il post andrò subito a registrare) dipendono in molti ambiti da quello che il mainstream propone loro: attraverso la tivù acquisiscono il loro stile di vita, attraverso le pubblicità che sempre più vanno a toccare le emozioni o le preoccupazioni sanno cosa è meglio per loro.

Ci sono libri interessantissimi su questo argomento, uno su tutti, di qualche anno fa, è Il marketing all’assalto dell’infanzia (clicca qui per saperne di più).

Il libro, che consiglio a chiunque di leggere, ci descrive in maniera molto chiara come le aziende ci indirizzino fin dalla culla (e fino alla tomba) verso la fidelizzazione al loro brand. 

Questa fidelizzazione però a noi che vantaggi porta? E invece, che svantaggi porta?

I malfermi di idee non hanno dubbi in proposito. I prodotti e i marchi hanno sempre ragione, e non importa se costano l’ira di dio o fanno milioni di km prima di arrivare a noi: ci sarà sempre un esercito di crociati che gratuitamente difenderanno fino alla morte (del fegato o del conto in banca, dipende) il loro amato brand.

I malfermi di idee si scaglieranno sempre contro coloro che osano smontare le loro convinzioni: d’altronde, se le mie certezze poggiano su frasi dette da chi vuole vendermi qualcosa, anche io mi incazzerei con chi me le demolisce.

I malfermi di idee sono prede facili del marketing, che si nutre delle loro paure e propone  quintalate di farmaci per guarire tutto (pure la tristezza), che si fa l’aperitivo con le loro insicurezze e propina una moda costosa volubile e castrante, che prospera con la poca voglia di approfondire e fornisce loro pappe pronte in tutti i colori e milioni di cazzate che i malfermi consumatori compreranno a occhi chiusi.

Non osate mai toccare i totem a queste persone: saranno pronti a scrivere/dire qualsiasi cosa anche fuori dalla logica pur di difendere le loro labili stampelle che anche solo per un attimo li tengono in equilibrio sul mondo.

I malfermi di idee vogliono rimanere tranquilli e continuare a credere che basta un gioco di parole per trasformare una polverina magica proveniente da migliaia di km in un prodotto a km 0: vogliono credere che questa sia l’ecologia e che stanno facendo davvero qualcosa di ottimo per il pianeta e la salute, un pò come la simpaticissima Becky della saga I love shopping. Se ne sono convinti loro, chi siamo noi per pronunciare opinioni differenti?

Eppure, a queste persone servirebbe poco per tirare la testa fuori dalla sabbia. Due conti in tasca per capire che farsi in casa certe cose costa dieci volte meno e non ruba tempo, una lettura qua e là anche a prestito dalla biblioteca per allargare gli orizzonti mentali, un mesetto di alimentazione esclusivamente con prodotti freschi del contadino dietro casa.

Sempre che riescano a liberarsi dai condizionamenti mentali….

 

Letture stra-consigliate:

Susan Linn – il marketing all’assalto dell’infanzia  —- qui

Thomas Hine – Lo voglio! Perche siamo diventati schiavi del supermercato — qui

Noemi Klein – No Logo

Sophie Kinsella – I love shopping con mia sorella

 

 

Il marketing all’assalto del malfermo…ultima modifica: 2012-03-01T10:11:00+01:00da bibendum3
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